Cosa ho imparato insegnando (fin qui)

Questo è un piccolo post per fare il punto della situazione, un “punto” che solo apparentemente è qualcosa di stabilito e fermo, ma assomiglia piuttosto ad una polaroid sfuocata.
La realtà cambia di momento in momento e dopodomani le cose potrebbero non essere più così come le percepisco io in questo momento…
Che cosa ho imparato – mi sono chiesta – in questo anno e mezzo dacché insegno Mindfulness ad adulti e ragazzi? Che esperienza è stata fin qua, che cosa ha risvegliato in me, che difficoltà ho incontrato sul sentiero?

Insegnare è imparare

Come prima cosa, ho capito che insegnare è imparare; che chi insegna impara e chi impara insegna. Siamo Uno, sempre, anche quando non lo vediamo così chiaramente; e quando avviene qualcosa là fuori, davanti a me, qualcos’altro avviene di sicuro anche qua, dentro di me. La capacità di rimanere aperta, esercitata ogni volta come se fosse la prima (questo il tentativo), mi permette di rimanere permeabile e porosa a quello che accade. È una pratica nella pratica: provare a raccontare quello che ho capito e sperimentato sulla mia pelle mi ha permesso davvero di accedere a quel luogo sacro e intimo che è il bisogno comune di comprendere e comprendersi, al di là dell’umana vulnerabilità. E il risultato è: apprendere. Aprirsi. Essere liberi.
Sia gli adulti che i ragazzi mi meravigliano ogni volta con le loro scoperte e le loro intuizioni. Con le loro domande, che non sono mai (mai!) scontate, anche quando si ripetono.
Cosa c’è dietro a questa domanda? Quali sono i valori che la persona che l’ha posta vuole riconoscere per sé? C’è qualche paura che vela il tono, che incrina la voce?
Scoprirlo – non sempre è così facile – è un’avventura appassionante, ogni volta.

Se la evito, l’esperienza mi insegue

Altra cosa che mi sembra di aver capito è che quello che sto evitando di imparare rimane in fondo a me, come un grumo che non si scioglie.
Se scappo perché non trovo il coraggio – di affrontare questo argomento, di guardare dritto dentro di me, di raccontare le mie difficoltà, queste si ripetono; e se evito questa esperienza perché ho paura, perché detesto sentirmi esposta, l’esperienza ritorna, finché non è stata vista e accolta davvero.
Certo che non è così immediato, né facile scendere in campo, soprattutto perché è un campo, quello della consapevolezza, dove non si impara in modo lineare e sicuro, ma al contrario, dove avere obiettivi specifici compromette il percorso.
Perciò ho imparato quanto è importante il cammino in sé, il mezzo, molto al di là del motivo che ci spinge a intraprendere questo viaggio. Gandhi scriveva: “Qualcuno dice ‘il fine giustifica i mezzi’. Lasciatemi dire che i mezzi sono il fine; i mezzi sono tutto”.
Quando mi pongo un “fine” un obiettivo (vedere dei risultati nei partecipanti dopo qualche incontro di mindfulness, per esempio), questo mio pormi un traguardo compromette il percorso, sia il mio, che il loro. Lo condiziona a dover corrispondere a delle aspettative, dei canoni, dei risultati specifici.
Solo quando lascio che il “mezzo” (la pratica) faccia ciò che deve fare, e smetto di volerla controllare, allora mi accorgo che qualcosa cambia davvero. Anche quando mi sembra che non stia cambiando niente. Le otto settimane del corso intensivo, per esempio, sono solo l’inizio di un percorso che dura sempre, tutta la vita, e nel quale si possono verificare intuizioni e scoperte, ma anche periodi in cui sembra che non succeda proprio nulla.

La fatica di stare seduta

Ho imparato la fatica dello stare seduta. Sembra una banalità, ma non la è. Dato che insegno Mindfulness, qualcuno potrebbe pensare che per me è facile sedermi nella posizione, ma non è così. Anche se ho notato dei cambiamenti, soprattutto in questi ultimi mesi.
Lavorare con una posizione seduta e ferma, mi obbliga a fare i conti con la mia capacità di sciogliermi, di smettere di oppormi alle gambe incrociate e alla schiena dritta, ferma lì a volte per un’ora. Ho notato che quando insegno il mio corpo mi sostiene maggiormente, mentre quando partecipo alla pratica condotta da un qualcun altro, il corpo protesta e si ribella. Come se non volesse prendersi la responsabilità. Proprio come un bambino.
E che l’unica via è continuare a praticare e portare gentilezza e pazienza a me stessa.

E poi ho imparato che è necessario essere onesti e integri. Che non posso insegnare quello che non pratico – sarebbe solo un insegnamento intellettuale – e che se parto dalla mia esperienza, quella ordinaria, quella di ogni giorno, chi mi ascolta può avvicinarsi più facilmente. E ho imparato che se mi diverto, mentre faccio tutto questo, siamo tutti più soddisfatti.

Imparare la gioia

Ho imparato che tutti noi abbiamo risorse inesauribili di bellezza e gioia, che spesso sono sepolte sotto strati e strati di resistenze e abitudini che non ci aiutano; che bellezza e gioia sono anche, paradossalmente, così pronte e disponibili, non appena allentiamo la presa e ci disarmiamo di fronte a noi stessi. Non aspettavano altro che noi, che il nostro ego si prendesse un momento di pausa, una distrazione qualsiasi da se stesso, e mollasse finalmente la presa.
E che siamo in grado di contenere davvero tutto l’universo, con i suoi conflitti e le sue paure, ma sappiamo contenere anche la primavera, quella che arriva quando meno te lo aspetti, perché non te lo aspetti.

4 thoughts on “Cosa ho imparato insegnando (fin qui)

  • ilaria pasti

    15 Marzo 2018 at 7:54

    grazie Elisa, il tuo tono che traspare anche nella scrittura, è sempre sommesso e delicato.Questo aiuta la trasmissione dei contenuti, ma d’ altronde ..”il mezzo è il fine ” vero?
    sono contenta tu sia riuscita a portare l’ esperienza nelle scuole, mi piacerebbe parlarne, magari questa estate.
    un abbraccio
    Ilaria pasti

    • Elisa Quietroom

      15 Marzo 2018 at 8:29

      ciao Ilaria! Grazie che hai letto il post… sì, sono molto contenta anche io di fare esperienza di insegnamento, a scuola è sempre una magnifica occasione per sperimentare e capire. Volentierissimo ne parliamo a fine anno scolastico!
      Un abbraccio!

  • Maria Grazia

    16 Marzo 2018 at 21:24

    Ciao Elisa,il tuo articolo mi è piaciuto molto.Ho colto l’umiltà uscire dalle tue parole,ed ho imparato qualcosa anch’io,sentirsi umili ci permette ancora di essere aperti alle esperienze,ci offre un’altra possibilità di confronto con noi stessi e con gli altri e come ha detto un poeta di cui non ricordo il nome,ci fa sentire attraversati tutti da un’unica anima.
    M.G.

    • Elisa Quietroom

      18 Marzo 2018 at 18:51

      ciao cara Grazia! Davvero, ogni volta che comincio un incontro non so mai bene cosa ne uscirà; le persone sono incredibili (grandi e piccole) per la capacità di intuizione e di sensibilità. Quindi è una cosa davvero bella poter testimoniare la loro saggezza!
      Un abbraccio, grazie che mi hai scritto!
      e.

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