Istruzioni pratiche per tempi difficili

In queste settimane di agosto 2020 ho pubblicato sul profilo facebook di Quiet room 12 “Istruzioni pratiche per tempi difficili”, ovvero 12 suggerimenti che ci aiutano a ricordare di mettere in pratica ogni giorno qualche suggerimento mindufl. È un gioco tutto sommato, ma volte può esserci utile per non prenderci troppo sul serio, per ricordarci della nostra impermanenza e imperfezione, per coltivare semi di gratitudine e bellezza.
Ti riporto le istruzioni così come le ho pubblicate sui social:
1. Perdi qualcosa ogni giorno.
A volte si tratta di poca cosa: perdere un autobus, perdere un calzino nel cesto del bucato, perdere una scommessa o perdere la memoria di qualcosa.
A volte invece perdiamo la pazienza, la speranza o il lume della ragione. Allora si fa seria e non lo raccomando.
Ma qui l’istruzione si riferisce di più ad un atteggiamento di arresa – o meglio di accettazione. Posso affidarmi a questa “perdita” con la fiducia che mi stia svelando a me stessa?
Ma per fortuna, le cose che si perdono si possono ritrovare, intatte da qualche parte, proprio dove (e quando) non speravamo più di recuperarle. 
2. Semina: semi, idee, pause, sorrisi
“Non giudicare ciascun giorno in base al raccolto che hai ottenuto, ma dai semi che hai piantato” diceva Robert Louis Stevenson; e davvero possiamo intraprendere il viaggio con l’intenzione di dedicarci al giardinaggio interiore.
Seminare la nostra vita di piccoli gesti gentili, sorrisi, momenti di pausa, respiri profondi, buone scelte fatte con il cuore, ascolto e anche qualche “no” che ci serve per dire “sì” a noi stesse.
È come seminare il sentiero della nostra vita con le briciole di consapevolezza di Pollicino, per riuscire a ritrovarci ogni volta che ne abbiamo davvero bisogno.
3. Ricordati di santificare i giorni feriali
Ricordiamoci cioè di riconoscere e apprezzare la quotidianità come se fossero ferie (sarà per questo che li hanno chiamati così i giorni feriali?).
Non c’è bisogno di aspettare che siano festivi, altrimenti rischiamo di vivere una vita in attesa: che arrivi sabato, che passi il lunedì, che la domenica duri tutta la vita; e poi quando ci siamo a volte la sprechiamo o la viviamo nella nostalgia della prossima.
“Festeggia oggi”, conclude una poesia di Judith Hill (che si intitola “dichiara pace”) che mi piace tanto, agisci come se l’armistizio fosse già arrivato, come se la guerra fosse finita e ci potessimo permettere di deporre le armi. Facciamolo ORA!
4. Scrivi una lettera a te stessa/o dove descrivi un fatto della tua vita in modo assolutamente positivo, poi del tutto negativo e infine totalmente neutro.
Siamo talmente abituati a raccontarcela in un certo modo, a spiegarci la nostra vita e quella degli altri attraverso un determinato filtro, che l’esercizio di ribaltare la trama ci può fare davvero bene.
Se provassimo a narrare la nostra vita in modo alternativo?
Se trasformassimo le pretese in realizzazioni e le sconfitte in occasioni?
Se provassimo ad indossare occhiali diversi una volta tanto?
Cosa accadrebbe alla piccola fiammiferaia se si alzasse e cominciasse a rivedere il suo destino?
Come la vedrebbe zio Paperone ???? se si accorgesse del tesoro luccicante che ha accumulato e finalmente si decidesse a spenderlo? Buona ricerca!
5. Metti in dubbio le tue certezze: il lavoro, la salute, le relazioni
Sono proprio sicura che sia così? Diamo per scontate un sacco di cose ma la realtà è tanto più fluida di come ci appare. Nell’oriente buddhista questo approccio all’impermanenza è uno dei tre pilastri del pensiero (anicca in pali, o anitya in sanscrito) e va a braccetto con il concetto di anatta (anatman in sanscrito), ovvero “non-sé”.
Impermanenza e non-sé riguardano la realtà di tutte le cose che esistono: noi, gli altri e le nostre esperienze.
Secondo questa mappa infatti siamo tutti in relazioni gli uni con gli altri – e noi con l’ambiente (lo sappiamo, vero?) e a guardare bene, a guardare da vicino, non c’è nulla in ultima analisi che si possa dire: questo sono io. Quale parte di me è veramente “me”?
Nella mappa buddhista perciò si propone una prospettiva in cui tutte le cose sono in relazione e dipendono le une dalle altre. Sulla base di questo si fonda ciò che ci appare.
Ma ciò che appare invece noi lo percepiamo come un insieme di fenomeni distinti, isolati, autosufficienti…
Meriterebbe un approfondimento, lo so. E si può fare! In autunno ho già messo in calendario un corso introduttivo alle radici buddhiste della mindfulness…
6. Respira come se fosse la prima volta (o l’ultima)
“Respira, sei vivo” recita uno degli aforismi più famosi del maestro vietnamita Thich Nhath Han. Ma sappiamo che il respiro, anche in altre discipline di trasformazione come lo Yoga, è il campo base per la spedizione di esplorazione nei misteri di corpo e mente.
Secondo queste discipline, il respiro rappresenta il collegamento tra corpo e mente: agitato quando il corpo o la mente sono confusi e agitati, calmo quando c’è stabilità e chiarezza. A differenza dello Yoga, nella Mindfulness (e anche nella meditazione Shamata-Vipassana buddhiste), non interveniamo sul respiro, ma lo osserviamo così come è.
In controtendenza rispetto al nostro modo abituale di affrontare le esperienze, per una volta ci affidiamo al respiro che respiriamo nel momento presente e così facendo impariamo a accogliere ciò che accade proprio ora – coltivando la capacità di osservare e allo stesso tempo di lasciar andare.
La curiosità e la gratitudine sono atteggiamenti fondamentali, che ci servono per continuare a osservare il respiro così come è, e ad apprezzarne l’unicità, la preziosità, la bellezza.
La mente discorsiva piano piano si calma e noi acquisiamo una più vasta capacità di comprensione non giudicante (o equanime, direbbero i buddhisti).
7. Impara a usare una parola nuova ogni giorno
Chi parla male, pensa male – e vive male, diceva Nanni Moretti in Palombella rossa. 
Nel senso che è proprio la lingua che fornisce le basi al pensiero, che fa da fondamenta alla realtà che ciascuno di noi percepisce. 
Ne consegue che se viviamo e ci esprimiamo con un vocabolario povero e vittimista, inevitabilmente vivremo una vita povera e da vittime.
Siamo molto convinti di esprimere ciò che viviamo, ma in realtà viviamo ciò che esprimiamo. E questa è una buona notizia, visto che possiamo lavorare sul modo in cui parliamo (a noi stessi e agli altri) per correggere il tiro alla nostra esperienza, per trarne tutto il succo e usare la buccia come compost per i frutti a venire.
Arricchire il vocabolario, soprattutto quello delle emozioni, non può che farci bene e contribuire ad una vita più ricca, sana, gioiosa.
8. Ricordati di dimenticare – o dimenticati di ricordare
… il risultato è lo stesso, quando lasciamo andare la presa sui dispiaceri per quello che ci è successo, smettiamo di sentirci una vittima e ricominciamo a respirare liberamente.
Questo non significa dimenticare ”il senso” di quello che ci è successo – anzi  è importante raccogliere e filtrare il senso delle esperienze (piacevoli e spiacevoli) e se possiamo poi, tutto il resto (ricordi, pretese, accuse, eccetera) può essere affidato alla dimenticanza.
Questo permette alla Natura di rimarginare le ferite, di recuperare in freschezza e entusiasmo; di ricostruire e di avere fiducia, di evolvere per il meglio.
9. Fallisci, fallisci ancora, fallisci meglio (cit.)
Che è il titolo di uno dei libri di Pema Chodron, che è poi una citazione ripresa da Samuel Beckett. 
Insomma, sembra che imparare a fare amicizia con se stessi, come facciamo quando facciamo Mindfulness, implichi l’accettare il fallimento.
È quello che accade ogni volta che ci accorgiamo che non stiamo più seguendo il respiro durante la pratica, ma ci siamo distratti; è quello che accade ogni volta che arrivano emozioni difficili e noi non vorremmo sentirci così – o quando crediamo di esserci seduti per bene, ma le gambe cominciano a farci male. Ci sembra di aver fallito: invece è solo l’inizio della trasformazione.
Imparare ad affidarsi a quel che accade e continuare a tenere le orecchie e gli occhi aperti, anche se quello che vediamo e sentiamo non ci piace – imparare a fallire nel sentirci perfetti o all’altezza, perché è da lì che possiamo partire per il viaggio di scoperta e trasformazione.
Come dice Leonard Cohen in una sua canzone: “Forget your perfect offering; There is a crack in everything; That’s how the light gets in” ovvero dimentica la tua offerta perfetta; c’è una crepa in ogni cosa; ed è da lì che entra la luce…
10. Coltiva l’imperfezione
C’è un termine nella lingua giapponese – wabi sabi – che indica la bellezza autentica, sobria e imperfetta delle cose così come sono. Una sorta di sentimento che sorge alla presenza di ciò che è autentico, anche se sfiorito, e che ci fa commuovere.
È quando vibriamo in accordo con ciò che ci tocca, non necessariamente qualcosa di perfetto, ma anzi, la sua imperfezione, le sbavature del tempo che passa, la grazia che resiste e risplende, rende quell’oggetto – quell’esperienza o quel paesaggio più “vero”.
Anche noi – in totale controtendenza con la perfezione stereotipata, ricostruita ed esibita ovunque – possiamo imparare ad abbracciare la nostra vita imperfetta e farne qualcosa di autentico e creativo.
(Per approfondire il concetto di Wabi Sabi, consiglio il libro di Beth Kempton con l’omonimo titolo).
11. Ama il prossimo tuo perché è te stesso
Spesso ci comportiamo come se le cose non ci riguardassero; come se le persone che non conosciamo (quelle troppo diverse da noi e quelle che non amiamo) si trovassero su pianeti diversi e noi non volessimo né riconoscerle, né ammetterle nel nostro mondo.
Indossiamo un bel paraocchi accessoriato e ce ne andiamo in giro facendo finta di niente.
Cosa dovrei avere io in comune con chi non parla la mia lingua? Con chi ha una cultura che non capisco e non condivido? Perché dovrei tentare di capirli? 
Com’è che sarei simile ad uno che si comporta male, infrange le leggi, non mi rispetta, non si sforza di essere come tutti gli altri?
Non sto cercando di giustificare certi comportamenti naturalmente, ma la distanza che mettiamo tra noi e gli altri – dove noi siamo quelli giusti e gli altri quelli sbagliati, è esattamente la causa dei conflitti nel mondo. La sofferenza che vediamo è proporzionale al senso di separatezza che creiamo in prima persona nel momento che ci pensiamo nel vero e giusto mentre gli altri sono nell’errore. 
Questo atteggiamento che esclude e nega, giudica con l’indice puntato, deride e sminuisce di solito è la spia di una grande paura che ci portiamo dentro e che governa tutto il nostro vissuto (e può determinare il nostro futuro).
Vale la pena guardarla in faccia e sapere come è fatta, per trasformarla in qualcosa di più utile e gentile.
12. Sorridi senza ragione
Questa è una delle istruzioni che vengono date durante la pratica formale: mentre facciamo la scansione del corpo e delle sue percezioni fisiche del momento – e mentre passiamo consapevolmente sul viso – forse possiamo ricordarci di accennare un sorriso, da mantenere durante tutto il tempo della pratica.
All’inizio di solito risulta un po’ forzato; magari ci sentiamo a disagio e persino un po’ stupidi.
Sembra che abbiamo bisogno di un un motivo specifico per sorridere, mentre invece la pratica ci chiede di sorridere sulla fiducia, totalmente gratis e con il rischio di sentirci fuori luogo. 
Quando sorridiamo, mentre i muscoli del viso si tendono, qualcosa dentro di noi si rilassa: anche il resto del corpo risponde e magicamente ci predisponiamo in modo diverso nei confronti dell’esperienza. Se ci ricordiamo di farlo anche durante la pratica “informale” cioè per il resto della nostra giornata, ne risulta (gradualmente e per piccoli passi progressivi) in un modo totalmente diverso di interpretare la nostra vita quotidiana, alla luce della gratitudine e della riconoscenza per le cose che siamo e che abbiamo. 
Senza contare che anche gli altri se ne accorgono, e di solito ci rispondono con un sorriso. Provare per credere (non una volta, ma tante volte).

2 thoughts on “Istruzioni pratiche per tempi difficili

  • Grazie Elisa, istruzioni preziose che ho trascritto nel mio quadernino delle cose importanti.
    Un sorriso

    • Elisa Quietroom

      24 Agosto 2020 at 22:07

      grazie a te Elisa cara, proviamo a mettere in pratica insieme! Un abbraccio

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