Di chi è la colpa?

Spesso ci passiamo le colpe come se giocassimo a palla avvelenata. 
Te lo ricordi quel gioco? Ce n’erano versioni con regole diverse, ma in tutte si cercava di colpire ed eliminare uno dopo l’altro i componenti del gruppo. I più forti a lanciare la palla erano avvantaggiati; io mi ricordo che temevo di essere colpita da qualcuno dei bambini in particolare perché sapevo che aveva forza e precisione (e soprattutto era spietato!) nel colpire gli altri.
Era un buon esercizio per abituarsi a vedere negli altri il nemico da affondare, uno dei tanti giochi “edificanti” dell’infanzia. Un buon modo per imparare chi si doveva temere, anche. Insomma, un condensato della società dei grandi. Si imparava subito, così una volta arrivati alle Medie, ognuno aveva già il suo personaggio da interpretare già bello collaudato. 
Mi vengono in mente anche altri giochi utili a costruire le proprie armature strategiche… ma ne parliamo un’altra volta.

La palla avvelenata del giudizio
Questa volta volevo offrirti uno spunto di riflessione sul meccanismo automatico di attribuzione di colpe e meriti (la palla avvelenata) che va in onda in background praticamente in tutto quello che facciamo. Ne parlavo qualche giorno fa con i partecipanti ad un corso di Mindfulness dedicato agli insegnanti, per spiegare com’è che ci costruiamo così velocemente una struttura di giudizio con cui affrontare ciò che ci accade. E sappiamo che se c’è una cosa che può farci soffrire, questa è appunto la meccanica avvelenata del giudizio. Fa soffrire chi la pratica e anche chi la subisce, che a sua volta di solito la replica su se stesso e sugli altri. Lo sappiamo in teoria, ma poi quando si arriva alla pratica, facciamo tutti fatica anche solo a individuare la struttura in sè (sarà perchè è talmente intrinseca a ciò che siamo, che si stenta a distinguerla?).

Leggi attentamente questo esempio:
“Paolo si dirigeva verso la scuola.
Era preoccupato per la lezione di matematica.
Non era sicuro di riuscire a controllare di nuovo la classe, oggi.
Ciò non rientrava fra i compiti di un bidello”.

Buffo no? Ad ogni riga, sembra che lo scenario sull’identità di Paolo cambi di continuo. Prima lo crediamo uno studente, poi un insegnante ed infine un bidello. Come succede? 
Hai notato che la tua mente, mentre stavi leggendo riga dopo riga, stava interpretando il testo? Come una sorta di traduttore interno, la mente opera in background una decodifica di tutto quello che entra nel campo dell’esperienza, in base ad una serie di fattori – di condizionamenti soggettivi – che vanno dal fare paragoni con ciò che abbiamo vissuto in passato (magari esperienze analoghe), il nostro umore del momento, le abitudini soggettive, di famiglia o della società, traumi antichi anche dimenticati, le aspettative rispetto a cose e persone, le risorse di energia che abbiamo in un dato momento o lo stato di salute mentre affrontiamo un’esperienza, eccetera. Molti fattori insomma, buona parte dei quali non consideriamo affatto mentre tentiamo di capire quello che ci troviamo davanti agli occhi. 
Qualsiasi esperienza viviamo, dal dialogo con una persona di famiglia al viaggio in un paese straniero, pieno zeppo di incognite di interpretazione – tutto dipende dalla parafrasi che ne fa la mente. La quale non è “libera” ma è condizionata da fattori che spesso ci sfuggono del tutto: nessuno di noi vede il mondo così com’è; lo vediamo così come siamo.

Il modello A, B, C
Mark Williams e Danny Penman nel loro libro “Metodo Mindfulness” nel quale ci raccontano la Mindfulness dal punto di vista di un corso intensivo MBCT, ci spiegano il modello A-B-C.
In cosa consiste? La A rappresenta ciò che accade, l’esperienza così come la potrebbe riprendere una telecamera che registra tutti i movimenti in un dato ambiente. 
La lettera B rappresenta il nostro modo di raccontarci quello che accade. Diciamo, una specie di film messo insieme a partire dalla registrazione. 
La C rappresenta invece la nostra reazione emotiva, i pensieri e le sensazioni fisiche che ciascuno di noi prova di fronte a ciò che accade.
Molto spesso pensiamo che C dipenda direttamente da A. Non siamo molto consapevoli che tra A e C, c’è la nostra interpretazione soggettiva che distorce sensibilmente la registrazione dell’esperienza e ne fa un vero e proprio film… a volte persino un dramma!  
Dunque l’esperienza in sè viene interpretata, tradotta e adattata dalla mente in modo che ne risulti qualcosa di coerente con la nostra prospettiva di quel momento. 
Non so se ti è mai successo di attraversare un momento difficile o stressante in relazione ad una discussione o a un malinteso con qualcuno. In questo caso di solito, nel tentativo di ristabilire l’ordine, ci affrettiamo ad attribuire giudizi e colpe… spesso la nostra versione dei fatti e quella dell’altro sono molto diverse. A volte siamo così distanti in termini di interpretazione della storia che sembra che si stia parlando due lingue diverse. Ed è proprio così! Ciascuno ha elaborato diversamente al punto B ed è arrivato alla lettera C (con il suo carico di pensieri ed emozioni travolgenti) senza rendersi conto dei propri condizionamenti. 

Quindi, di chi è la colpa?
Tutte queste riflessioni, per portarti a considerare diversamente le tue prossime idee su ciò che ti accade. Sapere che tra l’esperienza e lo stato d’animo che si genera dentro di noi c’è il setaccio della nostra percezione soggettiva (e quindi erronea), può essere molto utile. Non siamo obbligati a credere ciecamente alla nostra storia; quando cominciamo a metterla sinceramente in discussione e chiederci: sono sicuro che sia proprio così come credo? – abbiamo fatto un passo nella direzione della consapevolezza e disinnescato al contempo la miccia di una possibile escalation di conflitto. Le emozioni afflittive, che sono tossiche (perché mettono in moto i meccanismi biologici di lotta o fuga e relativi ormoni) si sgonfiano un po’ e noi guadagnamo lo spazio per lasciar decantare e riflettere meglio sul senso di ciò che stiamo vivendo. Vedere meglio i nostri condizionamenti, risultato del nostro percorso di vita, ci aiuta a smettere di giudicarci e giudicare gli altri con la consueta severità.

2 thoughts on “Di chi è la colpa?

  • ti ringrazio, queste riflessioni mi aiutano davvero!
    e mi fanno riflettere anche su come NOI siamo “sentiti” e “filtrati” dagli ALTRI, che magari ci percepiscono in modi che ci lascerebbero stupefatti! a volte mi sono accorta di questo in base ad esclamazioni o battute quasi inconsce sfuggite all’interlocutore.
    Come diceva Pirandello: Uno Nessuno Centomila…

    questo però mi fa venire voglia di isolarmi in una baracca sulle splendide colline e vivere solo in compagnia degli animali… “l’Enfer c’est les autres”, diceva Sarte… la mia fede cristiana mi fa sconfessare quanto sopra, ma i dubbi sono accompagnatori quotidiani, e forse vitali
    ciao!

    • Elisa Quietroom

      31 Maggio 2021 at 15:52

      Noi Chiodarelli siamo già abbastanza isolati in una baracca (be’ proprio baracca…) sulle splendide colline (e pianure) in compagnia degli animali. O no? :-))
      Bacioni grandi!!
      ps: E comunque concordo con te, Pirandello e Sartre.

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