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So che non è un titolo originale, dato che uno dei miei libri preferiti di Pema Chodron si intitola proprio così (te lo consiglio caldamente!).
Il fatto è che tutti noi sperimentiamo crolli e fallimenti tutti i giorni: a volte si tratta di piccoli cedimenti imprevisti; altre invece sono veri e propri collassi di fronte ai quali ci troviamo piuttosto impreparati.
Che si tratti di un fallimento lavorativo, che sia una malattia oppure una relazione che si conclude malamente, questi brutti imprevisti possono trasformarsi nella porta di accesso alla nostra sanità mentale, a patto che ci facciamo carico delle nostre emozioni fino in fondo.
Quando il mondo ci crolla addosso, noi vorremmo solo poterci spostare in una posizione di sicurezza e di solito è quello che facciamo come prima reazione. Ma a volte non funziona perché il crollo è così vasto che crea un vuoto sotto i nostri piedi e noi siamo costretti a ripensare alla nostra vita… e, dicono i maestri, ciò che sarebbe utile fare è prima di tutto accettare il crollo.
Accettare o combattere?
Quando ci vediamo alle strette e non sappiamo più da che parte girarci, quello che ci viene automatico fare è resistere. Cercare delle cause, magari dei colpevoli e innalzare una barriera contro il nemico.
E magari andare a cercare degli alleati che ci diano ragione e che confermino che abbiamo tutto il diritto di sentirci come ci sentiamo.
Insomma facciamo la guerra.
Cercare un colpevole diventa lo sport preferito: che sia una persona specifica in carne e ossa, che sia un “sistema” o una categoria di persone al quale ci riferiamo al plurale, che siamo noi stessi il bersaglio della colpa e del biasimo, questo giochetto non ci salverà dalla sofferenza e anzi, impedirà di vedere le cose in una prospettiva più ampia e flessibile.
Quando ci fissiamo sui colpevoli perdiamo di vista per esempio le nostre responsabilità in ciò che accade (cioè i modi in cui abbiamo personalmente contribuito al realizzarsi di un’esperienza), concentrati come siamo nel vedere solo un pezzetto di quello che ci sta davanti piuttosto che un quadro più completo.
Dimentichiamo volentieri anche quello che forse avevamo già capito in passato, oppure dimentichiamo di vedere gli esseri umani che abbiamo davanti, impauriti, ignoranti, confusi come noi.
Siamo malati di soluzioni
… diceva Pema Chodron in un capitolo del libro; quando cioè abbiamo un problema o stiamo soffrendo per uno dei tanti crolli che ci accadono nella vita, andiamo spesso nell’analisi del crollo stesso, come se sviscerare tutti i perché fosse garanzia di una rapida soluzione.
Non sempre trovare il perché (o più probabilmente i perché, i diversi motivi) è sinonimo di risoluzione del problema purtroppo; certo capire le dinamiche di quel che ci accade è importante, ma la mente critica e analitica – che a volte è in grado di ipotizzare soluzioni possibili, in realtà non è quella che ci garantisce la fine del conflitto.
Mi ricordo che alla conclusione di un corso intensivo MBSR, durante la restituzione finale dei partecipanti, una di loro disse proprio questo: nel corso intensivo che ho fatto, ho imparato davvero cosa significa “darsi pace”.
Darsi pace nel senso che è ciascuno di noi che decide con il cuore che la guerra è finita, anche perchè a volte non esistono soluzioni alla sofferenza che stiamo vivendo e non ci sarà mai nessuno che la risolverà al posto nostro.
Darsi pace non significa rassegnarsi; ma è invece un movimento attivo, positivo, di deposizione delle armi.
Darsi pace è accettazione di come mi sento adesso in relazione a quello che mi sta accadendo: posso vivere la mia vita come se fosse una lotta continua o posso accettare che a volte accadono cose difficili proprio a me, e che quelle cose difficili mi chiamano a svegliarmi ad un nuovo modo di partecipare a questa meravigliosa avventura che è la mia vita, unica e preziosa.
11 Settembre 2020 at 20:11
Mi piace l’idea di “darsi pace” ma potrebbe essere intesa come una rassegnazione agli eventi che hanno cagionato il crollo del nostro mondo. Ecco io aggiungerei a tutto il bellissimo e condiviso discorso che possiamo si, darci pace, ma anche abbracciare tutto ciò che ci accade come occasione per comprendere che ruolo abbiamo giocato, o giochiamo, nella partita degli eventi, e crescere.
Buona vita a tutti 🙂
14 Settembre 2020 at 14:41
Grazie Patrizia della tua precisazione; appena sentiamo una parola che nella nostra lingua suona “minacciosa” ecco che ci mettiamo sulla difensiva. Mentre possiamo – come dici tu – abbracciare tutto ciò che accade solo per comprendere meglio noi stessi e gli altri; crescere ed evolverci.
Un abbraccio!