Una nota personale sul film Paterson (che secondo me è molto mindful), di Jim Jarmusch, 2017 (113 minuti, con Adam Driver e Golshifteh Farahani).
Quando smettiamo di aspettare la felicità e ci rendiamo conto della straordinaria ricchezza della vita che abbiamo – con le sue difficoltà, le coincidenze e le piccole grandi rivelazioni – in quel momento il tempo non è più un “problema”.
Paterson è un film che racconta la poesia della quotidianità nella routine ordinaria di ciascuno di noi attraverso le vicende di un autista di autobus della cittadina americana di Paterson, New Jersey.
Una settimana della vita di Paterson, (che si chiama proprio come il luogo dove vive e che nel film è impersonato da Adam Driver, nomen omen), dal lunedì alla domenica, tutto qui.
Piccoli e grandi accadimenti, che si svolgono dal momento in cui Paterson si sveglia, accanto alla moglie Laura, fino al momento in cui, dopo cena, va a fare una passeggiata con il loro cane, Marvin.
Una giornata di piccole cose. Niente di speciale.
La routine è ogni tanto interrotta da qualche imprevisto ed è punteggiata dalle poesie di Paterson, scritte sul suo “taccuino segreto”.
Una routine che cominciamo ad apprezzare quando smettiamo di aspettare un climax (il climax cui la cinematografia ci ha abituati) e ci rilassiamo in quello che c’è. Come con la Mindfulness, come con la vita.
E in questo film, veniamo portati dal ritmo regolare delle giornate di Paterson, con tutto quello che comportano: sveglia, colazione, lavoro, pausa pranzo, incontri e relazioni, momenti di tempo libero e qualche difficoltà, ogni tanto.
È un film che ci abitua a osservare. Come la Mindfulness.
È un film che ci sollecita a notare le apparenti coincidenze della vita, che altrimenti non noteremmo: si potrebbe fare una scommessa, e vedere quante piccole coincidenze riusciamo a cogliere dall’inizio alla fine. Ed è un film che lascia un “sapore” anche dopo che è finito, che dà la sensazione che potremo rivederlo di nuovo e vedremmo altri particolari, altre coincidenze. È un film meditativo, poetico, minimale, antieroico.
Io trovo anche che sia un film buffo, pieno di humor. Cominciamo a divertirci anche noi spettatori, quando ci rilassiamo ed entriamo nell’atmosfera, a notare le espressioni di Marvin, il cane, l’ennesima trovata creativa di Laura, la valanga di cupcakes che sforna, l’ennesima coppia di gemelli che appare tra le comparse, la lista di “drammi” di famiglia che il collega di Paterson elenca quotidianamente, i tentativi goffi di uno dei personaggi del bar di farsi notare e di seminare panico.
È un film sulla fragilità e la natura cangiante di tutte le cose: le parole scritte su un taccuino, gli sguardi e i discorsi pescati al volo dai passeggeri dell’autobus, gli incontri “casuali” e i visi dei personaggi famosi di Paterson, appesi come delle icone all’interno del bar dove Paterson si ferma la sera per una birra.
Filo rosso che attraversa la narrazione delle giornate “ordinarie” di Paterson, la poesia del protagonista, mescolata alla poesia di William Carlos Williams, medico di Paterson e poeta americano imagista legato a scrittori ed artisti come Marcel Duchamp, Ezra Pound e T.S. Eliot. Le sue parole risuonano attraverso il film e le confondiamo facilmente con quelle scritte da Paterson, la cui fonte di ispirazione sono gli incontri e le esperienze che, come piccole epifanie, rivelano l’essenza del vivere quotidiano.
Nel finale arriva uno strano giapponese in cerca della poesia di questo luogo, che si esprime attraverso l’estetica tutta giapponese del mono no aware, la sensibilità malinconica per il fluire di tutte le cose. Un concetto a quanto pare caro a Jarmush, così come a Yasujiro Ozu, leggendario regista e sceneggiatore giapponese dal quale forse Jarmush trae ispirazione.
Tutte le poesie che appaiono nel film, attribuite a Paterson, sono in realtà di Ron Padgett, poeta e saggista americano, cui Jarmusch ha espressamente richiesto di comporre per il film.
Un lavoro infinito di scatole cinesi, una dentro l’altra, che rivelano a chi ha abbastanza curiosità e pazienza, un contenuto straordinario.
Nota extra per gli appassionati: In Paterson il protagonista legge alla moglie Laura una delle poesie più famose di William Carlos Williams: si intitola “This is just to say”, – Solo per dirti – del 1934. Il testo originale è questo:
«I have eaten
the plums
that were in
the icebox
and which
you were probably
saving
for breakfast
Forgive me
they were delicious
so sweet
and so cold»
«Ho mangiato io
le prugne
che erano
in frigorifero
e che tu
probabilmente
avevi tenuto da parte
per colazione
Scusami
ma erano deliziose
così dolci
e così fredde»
Solo per dirti è scritta come se fosse un biglietto – senza punteggiatura – lasciato dal poeta sul tavolo della propria cucina, indirizzato alla moglie. La moglie di Williams, Florence, rispose alla poesia con un messaggio che poi lui incluse nel manoscritto Detail & Parody for the poem Paterson, mai pubblicato; in questo modo è come se Williams avesse trasformato la risposta di sua moglie in una poesia. Il messaggio di Florence Williams è un elenco delle cose che la donna aveva lasciato in cucina per il marito e si può leggere, in inglese, qui.