Sulla gratitudine, con una pratica

Con l’autunno ho ricominciato gli incontri settimanali di Mindfulness del martedì, che mi danno l’occasione di esplorare, di settimana in settimana, una serie di argomenti diversi, suggeriti dalla curiosità di approfondire, o da qualche lettura, o dalle domande degli stessi partecipanti.
Nella prima pratica guidata mi sono sentita di suggerire il tema della gratitudine, dato che io stessa mi sentivo grata di essere di nuovo lì, con loro, seduta sul cuscino.
Ero straordinariamente tutta intera, viva, respirante e perfino seduta (!), assieme ad altri esseri umani in un perfetto tardo pomeriggio d’autunno.
Il nostro passato come una tenda si richiudeva al nostro passaggio e noi seduti nella stanza tranquilla a goderci una pausa.
Un po’ di silenzio e un po’ di ascolto.  Mi sono sembrate tutte condizioni così straordinarie, che non si poteva fare a meno di accorgercene. E di ringraziare per tanta abbondanza.

Godere dell’abbondanza
Eppure… eppure in realtà non è sempre facile accorgerci dell’abbondanza, anzi, di solito ci concentriamo sulla mancanza. Secondo le neuroscienze è tutto normale, i nostri programmi di sopravvivenza sono impostati da migliaia di anni in modo da tenerci all’erta, in previsione dei periodi di carestia, emergenza, imprevisti. Così che possiamo affrontare il quotidiano come se fossimo dotati di uno scanner che individua immediatamente le difficoltà e le neutralizza. Sembra che riusciamo ad accorgerci e a ricordarci 5 volte più facilmente delle situazioni potenzialmente negative o pericolose, di quelle potenzialmente positive.
Questo ci ha permesso di sopravvivere, ma di farlo tendenzialmente di cattivo umore!
Perché allora non fare un passo avanti rispetto alla biologia? Perché non imparare a disimparare, una buona volta? Non che sia così semplice, ma la Mindfulness ci aiuta moltissimo là dove ci sentiamo bloccati…

Nostalgia e gratitudine
Di recente ho letto un bell’articolo sulla nostalgia. Parla di un vaso di begonie, ereditato dall’autrice alla morte della nonna. Così come la nonna, l’autrice se ne prende cura e, nonostante il dolore per la perdita, la presenza di questo magnifico essere vivente infonde un senso di calore e di presenza – anche nell’assenza – perché è vivo, rifiorisce, viene propagato e rinasce in tanti altri nuovi vasi nelle case di altre famiglie.
La nostalgia di chi abbiamo perso, colorata di gratitudine per ciò che rimane e che rifiorisce a dispetto di tutto, ha a che fare la possibilità di essere testimoni della vita che non sa far altro che essere generosa, anche quando ci priva di chi amiamo.

Non siamo già molto più di “abbastanza”?
Un’ultima ispirazione al sentimento di gratitudine viene dalla lettura di un’insegnante di meditazione americana, Adreanna Limbach, che affronta il concetto di “sentirsi degni” o “sentirsi abbastanza”: spesso infatti di fronte alle esperienze di vita sentiamo che manca qualcosa, che qualcosa deve essere aggiunto o deve essere cambiato per poterci sentire grati di ciò che c’è.
Come se dovessimo sempre riempire qualcosa di intrinsecamente vuoto, o carente, ci affanniamo a cercare ciò che crediamo non ci sia.
A rincarare la dose, la cultura, che ci spinge a sentirci incompleti o carenti se per esempio non corrispondiamo a certi standard sul lavoro, la vita personale, l’aspetto fisico.

“Ogni blocco di pietra ha una statua dentro di sé ed è compito dello scultore scoprirla” Michelangelo

Quando Michelangelo scolpiva le sue opere, pare che procedesse “per forza di levare”, cercando prima di tutto un blocco di marmo abbastanza grande e poi iniziasse a togliere, a colpi di scalpello, tutto il materiale eccedente. Eliminare ciò che è superfluo permetteva all’opera di venire alla luce e di manifestarsi per come già esisteva nel marmo grezzo. La capacità creativa perciò dipende dalla possibilità di liberare ciò che già esiste, che rimane nascosto da strati di condizionamenti, blocchi emotivi, paure, la convinzione di non essere abbastanza, o non all’altezza. E aggiungo, la capacità creativa dipende anche dal coraggio di non credere che tutti questi strati superflui siano inutili e limitanti in se stessi, perché sono proprio i condizionamenti, una volta compresi, a divenire le leve del cambiamento. Per alcune delle sue opere, Michelangelo decide di lasciarle “non finite”, come nel caso degli Schiavi, possenti figure di prigionieri che cercano di liberarsi dalla morsa della materia di marmo…

Una traccia di gratitudine
E ispirandomi alla visione di questa giovane insegnante di meditazione che citavo due paragrafi più in su, vi propongo una pratica di Mindfulness sulla gratitudine. Un modo molto semplice per riconoscere il dono di avere un corpo che respira, un cuore che batte, una mente che pensa. Tutti miracoli ordinari che viviamo ogni giorno della nostra vita, per cui possiamo dirci: grazie!

 

«Nel momento in cui gli avvenimenti si stanno verificando, noi non possiamo sapere se questi, col tempo, si riveleranno per noi felici o sfavorevoli.
Quante circostanze che le persone ritenevano fortunate, alla fine sono divenute la causa del loro crollo, mentre invece le prove, alla lunga, si sono rivelate molto benefiche! Non è dunque sul momento che si può giudicare riguardo alla fortuna o alla sfortuna: per pronunciarsi bisogna attendere.
Di fronte a ogni situazione sgradevole o dolorosa, prendete dunque l’abitudine di dire a voi stessi che in fondo al cammino, forse vi attende una fortuna.
Non perdete il vostro tempo in lamentele o ribellioni, ma ringraziate piuttosto il Cielo.
Dicendo “grazie”, liberate in voi delle energie che vi aiuteranno ad affrontare la situazione.
Sì, ecco la potenza della parola “grazie”: di già essa combatte l’ostacolo che stava sorgendo e neutralizza i veleni che la tristezza, la collera e lo scoraggiamento cominciavano a distillare in voi» Omraam Mikhaël Aïvanhov

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